FRATE VENTO L'AMICO 2/2017 |
IL REGALO DI PAOLA Paola Clemente era una donna pugliese di Taranto, sposa di Stefano Arcuri, madre di tre figli. Il 13 luglio 2015 è morta di fatica, stroncata mentre lavorava nelle vigne di un’azienda agricola. Il marito ha denunciato che la moglie percepiva 27 euro al giorno per dodici ore di lavoro. Un’inchiesta di Repubblica rivelò i trucchi del moderno caporalato. Non c’è più il figuro che scende in piazza prima dell’alba e dice: “Tu sì. Tu no”, scegliendo tra uomini come si fa con le bestie. Ora ci sono agenzie interinali collegate con società di trasporti. In realtà il trasportatore è anche colui che decide chi lavora e chi no. Il salario ufficialmente riconosciuto è di fatto tagliato a favore dei mediatori con una riduzione fittizia dei giorni e delle ore di lavoro. La magistratura è intervenuta. Ora si attende il processo. Dopo la morte di Paola molte sue colleghe braccianti hanno denunciato il ricatto in cui vivevano: “Se vuoi quel che ti spetta da contratto, Ciro (il trasportatore – caporale) ti dice di stare a casa. Nessuno ha mai osato ribellarsi”. Seicento donne di Puglia, cittadine italiane, venivano sfruttate come era ai tempi del giovane Giuseppe Di Vittorio, come se la Repubblica non ci fosse e la Costituzione che la dichiara “democratica, fondata sul lavoro” non fosse mai stata scritta. I “cafoni” (i braccianti, quelli che si legavano i pantaloni “ca – fune” per non sporcarli di terra) restano “all’inferno” (Il cafone al’inferno, di Tommaso Fiore, 1955). La Procura di Trani, con Guardia di Finanza e Polizia, ha arrestato in febbraio sei persone, tra cui l’ex datore di lavoro di Paola. Lo stato ha potuto risvegliarsi perché dei cittadini – cittadine hanno parlato, perché contemporaneamente le istituzioni li hanno sostenuti, incoraggiati, protetti. Il marito di Paola afferma che ora i loro tre figli non trovano più lavoro. Il ministro dell’Agricoltura Martina ha assicurato la vicinanza. La nuova legge anti caporalato prevede anche l’indennizzo alle vittime con i beni confiscati ai caporali. Ci auguriamo tutti che si prosegua su questa strada. Intanto penso ai tanti giovani laureati che conosco che prestano lavoro non pagato nel grande studio professionale. Non solo per fare la pratica e divenire avvocato o commercialista, ma anche dopo si lavora per salari indegni, che non permettono di vivere. Molti scappano. Molti restano, scivolando talvolta in una depressione da bassa autostima che toglie energie vitali al tessuto sociale, oltre a mortificare le persone. Anche qui c’è chi si arricchisce sfruttando il lavoro degli altri. Penso ancora alle parole di Gesù nel Vangelo: “Se trattano così il legno verde, che sarà del legno secco”? Delle cittadine italiane, incoraggiate dalle istituzioni, ferite per la morte ingiusta di Paola hanno trovato il coraggio di parlare e denunciare. Cosa succede a chi è nella condizione di forestiero? A chi è sul confine tra diritto e illegalità quanto al permesso di vivere in Italia? Mi pare a volte d’intravedere una nebulosa oscura che tende a circondare le nostre città. La dignità post bellica, il sogno d’Europa e di pace, di pane e lavoro sono circondati dalla nebulosa dell’ingiustizia e della criminalità mafiosa. L’iniquità ci circonda. È sotto gli occhi. È lì oltre la statale, nelle schiene curve di chi raccoglie pomodori e viene pagato una miseria, mentre altri si arricchiscono del suo sudore. È sulla stessa strada, nel passeggio felpato delle signorine con miniabiti. È nello studio professionale dove un giovane avvocato riceve due o trecento Euro al mese. È anche nella passività di uno stato che, a dieci mesi dai morti per l’incidente ferroviario di Corato – ancora tollera che ci siano solo tre frecce d’argento al giorno tra Roma e la Puglia. Forse per favorire le imprese private di autobus? Questo e molto altro è mafia, è criminalità nascosta. “Il caporale - scriveva su Repubblica Giuliano Foschini dopo gli arresti per la morte di Paola – è in giacca e cravatta”, ma sempre caporale resta. Una compagna di Paola si è decisa a parlare alla Polizia dopo che il caporale aveva avvisato che da Euro 27,00 al dì ne avrebbero ricevuti 40,00, come da contratto, a causa dell’attenzione che la magistratura stava rivolgendo alla sua “impresa di trasporti”. E la donna dice commossa: “Il regalo di Paola”. E sì. Perché il sangue paga, quello dei martiri, quello di Paola versato dal suo cuore spezzato di fatica, quello dei braccianti di Cerignola, che il 1904 fu versato dalla cavalleria del governo Giolitti e provocò il primo sciopero generale d’Italia. Il sangue paga, ma è un prezzo alto. Meglio sarebbe, in una “Repubblica democratica fondata sul lavoro”, che il popolo, cui appartiene – in teoria – la sovranità imparasse ad indignarsi. Così ha fatto il marito di Paola, così le sue colleghe braccianti. Così dovremmo fare tutti noi, cittadini. © Antonio Belpiede - all rights reserved |