EDITORIALE L'AMICO 4/2017 |
FAMIGLIA: QUALE FUTURO? I nostri collaboratori – pare a questo scafato direttore – si sono impegnati col cuore sul tema proposto, rivelando il loro caldo sangue di italiani del Sud. “A chi appartiene?”, ci ricorda Anna Pia Viola, ci si chiedeva non solo in Sicilia, ma in tutto il Sud Italia, forse anche a Nord di Roma. Gli usi semantici sono sempre rivelatori. Da noi, in “Puglia Nord” si chiedeva a un bambino: “A chi si figghie?” (di chi sei figlio?), prima ancora del nome. Il patronimico veniva poi associato al lavoro del genitore, specie se questi aveva un’attività professionale autonoma. Così si diceva: “U figghie de la salumerie… de la carrozzerie… du lavagge ... du bar“ e così via. Non oserò rubare il mestiere ai sociologi improvvisando analisi. Mi pare, tuttavia, che la tendenza antropologica fosse verso l’identificazione della persona nella sua relazione familiare e con l’attività di lavoro della famiglia. Nelle città piccole tutti erano noti a tutti. Incontravi e frequentavi chi conoscevi, sempre. Quale distanza dagli ignoti camuffati dietro file elettronici, che a volte tendono agguati ai piccoli. Dietro una maschera di Halloween si cela sovente un orco orribile. La moltitudine dei santi che celebriamo nella stessa data ha il volto luminoso e aperto. L’individualismo favorisce e moltiplica gli incontri con veri sconosciuti, relazioni con maschere. La liturgia cristiana ostende a Natale non solo il Verbo eterno, che si fa carne adorabile in Gesù, ma anche la sua mamma, Myriam di Anna e Gioacchino, e suo padre Giuseppe. Il figlio di Dio non viene come un individuo eccezionale, a coronare ante litteram le filosofie della modernità che hanno inventato la figura razionalista del soggetto – individuo. Gesù viene come Figlio di Dio e si manifesta come figlio di Maria e Giuseppe, poi come maestro e amico, come uomo in relazione. Il suo fare famiglia si estende a quelli che “non appartenevano” ai suoi, alla samaritana, alla cananea, all’adultera, ai pubblicani e al centurione romano. Gesù si fa famiglia partendo dal seno di Maria e dalla mano forte di Giuseppe per giungere in qualche modo “agli estremi confini della terra” (At, 1, 8). “A chi appartieni?”, qualcuno avrà chiesto, nei dintorni di Assisi, a quel giovane magro e dai piedi rovinati, vestito di sacco. E Francesco non nominò Pietro di Bernardone, ma disse in un sorriso “al Padre nostro, appartengo a Gesù, e vivo nella gioia dello Spirito Santo”. Che bello leggere nell’incipit della Regola, che Paolo VI donò all’Ordine francescano secolare sei settimane prima di morire, tra le famiglie spirituali suscitate dallo Spirito… c’è quella francescana. Il Signore Gesù faceva famiglia con tutti. Francesco lo imitò. Siamo chiamati a fare lo stesso. Non è forse questo il senso vero della parola fraternità? Tutti fratelli e sorelle perché tutti figli dello stesso Padre, tutti salvati dal Signore Gesù. Partendo da questa “Appartenenza”, come Francesco, si giunge alla famiglia universale, alla comunione con la natura e col suo ordine creato e creativo. Ma, attenzione, anche il non credente “nobilmente pensoso” (Paolo VI) può giungere dal creato e da una relazione positiva e benefica verso gli esseri umani a scoprire il volto del Padre loro. Aristotele, con la sua luminosa osservazione della natura, con la riflessione sulla Polis (città) e sul modo di vivere in pace e giustizia in essa, con la sua schietta socialità è certamente più vicino a Dio degli attuali mesti predicatori del nulla che arrivano, dall’Olanda, dalla Scandinavia o dalla Germania, a proporre la modifica ingegneristica e violenta del sesso degli adolescenti, in nome di foschi “diritti dell’individuo”. Non si può appartenere solo a se stessi. Chi s’illude così di “salvare la propria vita” la perderà. Chi, come Francesco, appartiene a ogni essere vivente, è loro fratello, salva la propria vita mentre la dona a tutti. “A chi sei figlio?”, mi chiedevano a cinque anni o sei anni di età a Cerignola. E rispondevo con orgoglio: “A Nicola Belpiede”, sapendo di avere un padre terziario francescano e galantuomo. La quarta dei suoi figli firma l’articolo di fondo. Ma siccome… mi appartiene non l’ho citata. Il giudizio sul suo pezzo è riservato ai lettori.
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P.S.: Non avendo, per motivo di “mistico contratto”, figli, dedico questo numero sulla famiglia ai miei otto terribili, meravigliosi nipoti. A loro appartiene il futuro. A noi spetta collaborare per costruirlo. |