RACCONTO LA STORIA

FRATE VENTO L'AMICO 2/2018

RICORDO DI DON TONINO

Era la vigilia dell’Immacolata del 1985 nella tua cattedrale di Molfetta. Stava per iniziare la Messa per l’Ordinazione sacerdotale di fra Sergio Laforgia e quella diaconale di fra Paolo Redavid, miei amati compagni a Bari – Santa Fara. Sergio, col suo lessico irrituale da profeta di campagna, mi aveva chiesto di “fare il presentatore”, intendeva la guida liturgica, con qualche commento al rito. Per questo ero lì intorno alla sacrestia. Ti vidi con mitria e pastorale: un bel vescovo di cinquant’anni, portamento umile ma solenne. Ci presentarono: “Ciao, Antonio”, mi dicesti. Come se mi conoscessi da vent’anni, come facevi con tutti, riuscendo a farli sentire importanti e familiari fin dal primo incontro.

Durante la celebrazione nella chiesa satura di calore di Puglia che grande gioia ci attraversava. Nell’omelia dicesti al mite Paolo una frase che mi fece vibrare il cuore: “Paolo, nel tuo desiderio di servire ricordati di non avere padroni”. Nel momento in cui il fratello stava per divenire diacono – servo della Chiesa e dell’umanità, gli donasti la chiave della libertà. Per un attimo ebbi la sensazione di vedere Peppino Di Vittorio, pugliese, fondatore del sindacalismo italiano, vestito da diacono accanto a te, con la mano ritualmente posata sull’aratro, come quando giurò fedeltà alla Lega contadina. Solo l’uomo libero può farsi servo, come solo Gesù ha potuto offrire liberamente la sua vita e riprenderla. Quante volte nella storia della Chiesa in nome dell’obbedienza si è conculcata la libertà, si è distrutta la dignità naturale e di grazia dei figli di Dio: non nel tuo cuore, non nella tua azione pastorale, non nella tua predicazione.

Ti rividi circa tre anni dopo nel palazzo arcivescovile di Foggia. Monsignor Casale, Arcivescovo, aveva invitato il noto attivista francese della non violenza, Jean Goss, per un convegno. E non mancavi. Ti salutai, mi sorridesti e subito entrasti in tema: “Capisci, Antonio, la Puglia non può essere trasformata in una portaerei della NATO, la nostra è una terra di pace e d’incontro di popoli”. Come è vero.

Ti rividi ancora nella tua terra. Ero a Maglie in estate 1991, credo, in vacanza sul tuo mare del Salento. Fra Paolo, che avevi ordinato diacono, mi propose di venirti a visitare in ospedale a Gagliano del Capo. Eri stato operato per quel tumore che ti avrebbe preso la vita. Ero in abiti da mare: pantalone e camicia bianchi, paglia avorio. Al tuo capezzale mi riconoscesti in un sorriso. L’intervento era andato bene. Recuperavi. Ti chiesi scusa per la mia mise vacanziera. Sorridesti ancora: “No, Antonio, non preoccuparti. Il Signore guarda il cuore, mica queste cose”. La rigidità, il giudizio pronto, il fariseismo formale, la retorica… tutto ciò ti era lontanissimo.

Poi fui rapito da mia sorella Mattea, tua super tifosa, per la marcia della Pace a Molfetta il tuo ultimo Capodanno, quello del 1993, poco tempo dopo la tua marcia a Sarajevo. Con fatica e stoica sopportazione seguisti il corteo per le vie della tua città. La sofferenza scavava inevitabili smorfie sul tuo viso. Ancora una volta mi chiesi perché Lui che risuscitò Lazzaro e guarì il figlio del centurione… non toccasse un uomo giusto come te, un figlio devoto e meritevole. Il mistero resta, sotto l’ombra della croce.

Mesi dopo, il 16 aprile, fra Fabrizio venne da Sarajevo e da Padova viaggiando ventiquattr’ore su panca di legno e poi in seconda classe per essere a Foggia alle sei del mattino. Ero segretario provinciale e avevo il compito di portarlo a Manfredonia per un incontro di formazione dei frati. E Fabrizio mi disse: “Antonio, il vescovo sta morendo. Potresti portarmi da lui?”. Dopo pranzo ci mettemmo in auto con fra Nazario per venire da te. Ma mia sorella, in stazione a Foggia diretta a Bari, trovò una scheda inutilizzata sul telefono pubblico. Chiamò mamma e mamma le disse di non muoversi dalla stazione. Non avevamo ancora i cellulari e Mattea mi aveva detto di aver sognato don Tonino… e noi due che andavamo a salutarlo. Mamma mi chiamò al convento di Manfredonia e tutto si compì.

A Molfetta c’era Mons. Bettazzi a vegliare su di te, Tonino. Arrivò anche fra Leonardo Lotti, provinciale di Bari. Entrammo noi quattro: fra Fabrizio e fra Nazario, Mattea e io. Mia sorella fotografò da donna attenta, in un battito di ciglia, la tua più che sobria stanza. Io ti vidi come Cristo in croce su quel letto. Fra Leonardo, buonanima, col suo tono amabile, cercò d’incoraggiarti: “Tonino, hai visto? Anche fra Fabrizio è venuto a trovarti”. Bettazzi e Fabrizio Forti rappresentavano la memoria vivente della tua missione a Sarajevo, tra le macerie della guerra. Tu, profeta povero, vescovo di Pax Christi, avevi parlato con la gente, eri entrato nelle case, avevi costatato la comunione tra ortodossi, cattolici e musulmani, imparentati e in pace come non diceva la propaganda dei signori della guerra. Fra Leonardo insisteva, con l’evidente scopo di consolarti: “Tonino, quanto bene hai fatto…”. Ci ghiacciasti di dolore: “Non lo so! Non so se ho fatto bene …”. Anni dopo, al termine di una conferenza nella mia Cerignola, il tuo medico, Domenico Cives, mi confermò che quello era stato il tuo venerdì santo. A quattro giorni dalla morte, avvenuta il martedì 20 aprile, quel venerdì assaporasti la desolazione che aveva fatto gridare al Cristo sulla croce: “Elì, Elì, lema sabctanì”.

Ti guardavo. Sembravamo tutti immobili. Allora ebbi un empito di follia. Mi inginocchiai accanto a te, sul lato sinistro del tuo letto, e ti dissi: “Don Tonino, perdonami, ce l’hai il cuore di benedirmi? Si! Tu ce l’hai!”. Non scriverei mai un copione così ruvido… ma dissi queste parole. E tu mi guardasti, col bel volto da uomo di Puglia sofferente, mi tracciasti una croce sulla fronte e mi benedicesti. Mi alzai con la strana e dolce sensazione che fosse stato insieme a te il nostro comune patrono, frate Antonio portoghese, detto di Padova, a benedirmi.

Sei giorni dopo tornai a Molfetta per i tuoi funerali. Il sole limpido della primavera si divertiva a giocare coi volti della folla presente tra le pietre bianche e il mare nel porto. Monsignor Magrassi definì la tua vita “un luminoso poema”. Il popolo piangeva il suo vescovo santo.

Due giorni fa è stato il papa, Francesco, a inginocchiarsi dinanzi alla tua tomba che ti dichiara “terziario francescano, vescovo…”. Perché il carisma viene prima di ogni ufficio ecclesiastico e tu volesti, giovane prete, iscriverti nel registro del Terz’Ordine del tuo paese, tradizionale noviziato dei Cappuccini, come “frate Antonio da Alessano”. Chi se non un Papa di nome Francesco poteva venire a onorarti?

Poi il Papa si è rialzato, ha ripreso l’elicottero ed è andato nella bella Molfetta, a respirare lo iodio del nostro sapido Adriatico pugliese. E ha ripetuto il tuo grido di sentinella del mattino: “Alzati! Alzatevi! In piedi, costruttori di pace!”. In questo numero riflettiamo sull’Europa sfinita, sulla necessità di un nuovo soffio di Spirito Santo sul nostro continente. Abbiamo bisogno di te, Tonino, perché preti e frati, le famiglie, la Chiesa tutta creda a una Nuova Evangelizzazione. Ora sono io a ripeterti le tue parole, Tonino, frate Antonio da Alessano, fratello vescovo francescano, profeta di Giustizia e Pace: Alzati! Prima della Risurrezione dei morti e del ritorno di Gesù, Alzati, costruttore di Pace. Sali come santo sull’altare. L’Italia e l’Europa hanno bisogno di te.

Ciao, don Tonino.

 

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(Fonte: L'AMICO DEL TERZIARIO)