FRATE VENTO L'AMICO 2/2019 |
ESTETICA - ETICA - POLITICA Mio padre, Nicola, aveva un bel cappotto pesante di lana grigia spigata. Erano cappotti che duravano decenni. I sarti abitualmente giravano il collo dopo qualche anno. Erano capi di lana vera, pregiata, niente chimica, niente sintetico. Papà portava per i mesi invernali un Borsalino classico che lo faceva sembrare un attore scappato da Hollywood: niente da invidiare a Cary Grant, William Holden o Montgomery Clift. Una sera mi prese per mano sorridendo e mi chiese di andar con lui. Avrò avuto 5 o 6 anni. Bussò a una casa a pianterreno quasi di fronte al palazzo del Vescovo. Ricordo una coppia anziana e l’accoglienza gentile e semplice. Papà mi presentò: “Il mio primogenito…”, con un sussulto nel sorriso franco. Poi disse: “Volevo dirvi che sono candidato per la Democrazia Cristiana al Consiglio Comunale. Se volete, potete votarmi”. Gli anziani amici assicurarono il loro suffragio. Salutammo. Quella sera visitammo qualche altra casa, dopo oltre mezzo secolo il ricordo sfuma. Era quella la campagna elettorale di papà. Il Bonus pater familias, terziario francescano, si presentava col figlioletto a chiedere il voto per amministrare e migliorare la città. Un po’ l’imitazione d’una figura classica, Cornelia, la madre dei Gracchi, che abbracciando i figli affermava: “Questi sono i miei gioielli!”. Papà fu eletto nelle file della D.C, che a Cerignola militò sempre all’opposizione, per tre legislature. C’era già qualcuno che stampava “santini” elettorali o qualche manifesto, ma il clima e lo stile erano comunque infinitamente più sobri di oggi. Era più sobria la vita delle famiglie. Il 25 aprile o il 4 novembre m’impressionava vedere il corteo silenzioso di questi gentiluomini sotto il tricolore repubblicano. Le mani intrecciate sulla schiena, su cappotti molto simili: dal grigio chiaro allo scuro allo spigato. Poco colore, ma un silenzio eloquente. Io riempivo di domande il mio papà. Dov’era Valle Cannella? E chi erano i giovani soldati di cui si parlava? Chi erano i nazisti? E le Esse Esse? E papà diceva: “Aspetta!”. Poi, con calma, mi raccontava, mi spiegava di quei poveri soldatini massacrati, mi parlava della libertà e della bellezza della democrazia. Il colore era nei contenuti. Il racconto era sapido come i cavatelli con la rucola e pomodoro della nonna Giuditta, che il popolo chiama “la bandiera” perché il piatto è bianco - rosso – verde. Coloratissimo si presenta ai numerosi obiettivi il Ministro degli interni, Onorevole Matteo Salvini. Si potrebbe aprire un’agenzia di scommesse solo sulla domanda “Cosa indosserà oggi il Ministro?”. Salvini muta casacca, in qualche modo incarna le parole di san Paolo sull’incarnazione dell’Evangelo: “Mi sono fatto tutto a tutti”. Poliziotto coi poliziotti, pompiere coi pompieri, fiamma gialla con le fiamme gialle, marinaio coi marinai … C’è qualcosa di semplicemente geniale nell’estetica salviniana. Egli riesce ad attrarre una parte dell’attenzione pubblica sul suo abbigliamento quotidiano, stornandola dal senso delle sue affermazioni di responsabile della sicurezza nazionale. Salvini, d’altronde, è solo il più bravo nel camaleontismo estetico della politica attuale. Da decenni il colore, i capi sartoriali di alto profilo, il lifting, i seni rifatti (ma anche le guance e gli zigomi di qualche capo di Governo) hanno fatto il loro ingresso nell’estetica politica ad ogni livello. Così nel paese, così in Parlamento e negli altri luoghi istituzionali. La TV, che dell’immagine è certo la regina, ci propone frequenti trasmissioni di commento alla politica nazionale. Si nota con facilità l’impegno di molti politici – o chi per essi - di curare l’immagine, di scegliere l’abito giusto. Secondo i programmi il conduttore – conduttrice, leader d’opinione o presunto tale, organizzano entrate in scena, effetti speciali, cercano di accattivare audience con qualunque mezzo. E gli italiani si stupiscono spesso. Si lasciano catturare, si fermano alla superficie estetica della comunicazione, fanno fatica a scendere oltre il livello del dichiarato per cercare il senso di quanto detto con autoreferenziale autorità dal politico di turno, un senso che spesso non c’è. Mauro Corona, alpinista e scrittore, mi appare all’improvviso, dono insperato dello zapping, su Cartabianca, diretto da Bianca Berlinguer. Un roveto di capelli e barba grigi gli nasconde il viso, indossa una vecchia divisa del Corpo Forestale dello Stato, accorpato senza criterio - a suo dire - all’Arma dei Carabinieri. Corona ricorda il servo di Jahvé, figura di Gesù nella sua passione, cantato dal profeta Isaia: “Non ha apparenza né bellezza per potercene compiacere”. Eppure Corona attira l’attenzione. Non affascina con lustrini e paillettes, né tanto meno per un taglio perfetto da tronista, non sfoggia una cravatta “ipnotica”; Corona ragiona, pensa e cerca di far pensare, bruscamente a volte, ruvidamente, con qualche “vaffa …” che gli scappa e di cui chiede subito scusa, ma pensa. Mi colpisce la sua affermazione: “La vecchia politica era etica, ora è solo estetica”. La Storia universale dell’infamia è stata già scritta da Borges. Se si guardano gli ultimi decenni della politica italiana si potrebbe proporre il titolo Storia italica del non senso politico. Oppure, omaggiando Corona: La politica italiana, dall’etica all’estetica. Nell’Unione europea gli italiani sono all’ultimo posto come lettori di quotidiani e libri, gli ultimi a frequentare teatro e cinema. Più difficile misurare il tasso d’interesse alla politica, ma non è peregrino congetturare che sia allo stesso livello del teatro. E anche quando s’interessano alla politica, magari seguendo una trasmissione in TV, sono facilmente stupiti dagli effetti speciali, abbagliati da quel perenne palco goldoniano con sistemi di luce e giochi elettronici da ventunesimo secolo. Si avvicinano le elezioni europee. La gran parte delle foto dei candidati sono eccessivamente ritoccate. Passi in auto o a piedi e ridi. Ma quando mai quella lì è stata così bella? E quel vecchio riportato indietro di vent’anni? Colore e photoshop (il famoso programma di correzione fotografica) regnano; retorica impronunciabile negli slogan elettorali. Estetica politica. Sì. Falsità a colori. Chiudo gli occhi. Respiro silenzio e frugo nella memoria: in bianco e nero, come un vecchio Film Luce. Vedo ancora le mani annodate sulla schiena di quegli uomini del dopoguerra, di mio padre e tanti altri. I cappotti sono grigio chiaro o grigio scuro, spigati. Ma il colore c’è. È tutto nell’azzurro del cielo, è nel bianco rosso e verde della bandiera. È in quella bandiera blu stellata dell’Europa che non ancora si tesseva, ma già era in gestazione dopo il Trattato di Roma del 1957. È nell’etica che trasuda da quei volti e da quelle mani. Invisibilmente. “Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”, dice la volpe nel Piccolo Principe di Saint’Exupery. Il grande romanziere - credo - non poteva immaginare quale denso senso politico potesse acquisire per i cittadini italiani ed europei questa frase in questo tempo della storia d’Europa.
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