DA SAN GIOVANNI AGLI ESTREMI CONFINI
I GRUPPI DI PADRE PIO NELLA NUOVA EVANGELIZZAZIONE
di frate Antonio Belpiede OFM Cap
1. Cristo, la Chiesa, i Gruppi di Padre Pio
"Chi ha visto me ha visto il Padre", dice Gesù a Filippo (Gv 14, 9). Cristo è il rivelatore del Padre, "Sacramento dell'incontro con Dio", come titola un'opera ormai classica del domenicano Edward Schillebeeckx. La Chiesa, d'altronde, "è in Cristo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano" (Lumen Gentium, 1). Dio garantisce la sua presenza negli atti fondamentali della Chiesa, l'annuncio del Vangelo e la celebrazione dei segni sacramentali. E' quello che la Teologia classica chiama opus operatum. Nell'eucaristia, per esempio, Dio garantisce la sua presenza. Quel pane spezzato e quel vino versato sono Gesù in corpo, sangue, anima e divinità, sia nella messa presieduta dall'ultimo prete peccatore ... sia in quella di Padre Pio. La dignità del ministro che opera, tuttavia, rende più chiaramente percepibile la presenza di Dio. La santità dello strumento umano crea una sintonia profonda tra il ministro e il "tre volte Santo" che nei segni sacramentali si rende presente: il Signore.
Il santo diventa nella Chiesa icona trasparente di Gesù. La Chiesa si manifesta come sacramento di Cristo, che è sacramento del Padre, si manifesta "per Cristo, con Cristo e in Cristo" come Icona della Trinità. Un'icona che ha nella sua stessa origine trinitaria un destino di missione modellato sull'Incarnazione del Verbo e la Pentecoste, vale a dire le due missioni trinitarie che hanno rivelato Dio immenso ed eterno nel Signore Gesù e nella Chiesa sua sposa.
Il Convegno nazionale dei Gruppi di Preghiera (3 - 5 luglio 2013) a San Giovanni Rotondo si è mosso su questo binario. Fede ed Evangelizzazione, il titolo scelto, richiama in sintesi non solo il progetto degli organizzatori, ma gli stessi "gemiti inesprimibili" dello Spirito di Dio. La fede degli aderenti ai Gruppi, che riconoscono nel francescano - cappuccino Padre Pio il loro padre spirituale e fondatore, va manifestata in opere di testimonianza evangelica. La "sacramentalità" della Chiesa trova nei santi Fondatori dei punti fermi voluti dallo Spirito per provvedere in ogni epoca storica ad un rilancio di santità che faccia assomigliare sempre più la sposa al suo sposo crocifisso e glorioso (cf. Lumen Gentium, 45). La storia della Chiesa accumula - per così dire - strati di santità che ispessiscono nel tempo la manifestazione del Cristo. Nel 1226, alla morte di San Francesco, Frate Elia poteva annunciare "un prodigio mai visto": in Francesco si era reso visibile il Cristo Crocifisso. Dopo la morte di Padre Pio, Paolo VI poteva definirlo: "Rappresentante stampato delle stimmate del Signore". Le stimmate di Francesco, generate dal Signore Crocifisso, avevano attratto il piccolo Francesco Forgione. Facendo il percorso in senso inverso, di testimone in testimone, Padre Pio richiama a Francesco e insieme sono icone di Gesù. Entrambi possono dire: "Chi ha visto me ha visto il Cristo".
Essere figli spirituali di Padre Pio significa lavorare per essere come lui testimoni del Cristo, seguendo e arricchendo una linea carismatica che da lui va al fondatore, Francesco d'Assisi. Il proemio degli Statuti dice che i Gruppi seguono: "I principi generali della spiritualità francescana di Padre Pio". Dove la parola "generali" non vuol certo dire "in linea di massima", quasi "superficialmente", ma piuttosto aperti a lasciar completare dallo Spirito nella loro propria vita quella realtà carismatica preziosa e sempre in evoluzione che è un carisma di fondazione. Essendo la gran parte degli aderenti ai gruppi laòs - popolo di laici, la loro testimonianza dovrà esercitarsi soprattutto nelle realtà temporali, in cui la Chiesa li chiama ad essere "ordinatori secondo Dio" (Lumen Gentium, 31). E' qui che lo Spirito vuole rinnovare il carisma, come Padre Pio ha rinnovato quello di Francesco.
2. DA SAN GIOVANNI ROTONDO AGLI ESTREMI CONFINI
Prima di ascendere al cielo, Gesù raccomanda agli apostoli di restare in Gerusalemme per ricevere il dono dello Spirito ed essere suoi testimoni: "... a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra" (At 1,8). La dialettica ecclesiale è modellata su quella trinitaria. Non contrapposizioni tra "stare" e "partire", tra Chiesa particolare e Chiesa universale, tra "Trinità immanente" (Dio in se stesso) e "Trinità economica" (Dio nella missione del Verbo e dello Spirito), tra ... San Giovanni Rotondo e gli estremi confini, quella "fine del mondo" che ci ha dato da poco Papa Francesco! "La Trinità immanente è la Trinità economica", affermava con ispirata saggezza Karl Rahner. Ossia il Dio che si è rivelato in Gesù Cristo e si rivela nella missione dello Spirito Santo è l'unico vero Dio, Padre e Figlio e Spirito Santo. Ritorna Gesù a spiegare all'attonito Filippo: "Chi ha visto me ha visto il Padre!". Analogamente, la Chiesa particolare e quella universale rappresentano una sola realtà. L'unica "Catholica" esiste e si struttura nelle Chiese particolari (cf. can. 368). Queste non devono "stare" ferme su un territorio dato o "partire", ma vivere l'unica missione della Chiesa dall'ambito locale a quello più vasto, da ogni Gerusalemme fino agli estremi confini.
Credo sia stato questo spirito a suggerire all'arcivescovo Michele Castoro, Direttore Generale dei Gruppi, chiamando fra Carlo Laborde a succedere a fra Marciano Morra nell'Ufficio di Segretario Generale, di affiancargli il sottoscritto come Delegato speciale per i Gruppi extraeuropei. Dall'istituzione dei diaconi in poi (cf. At 1,6), le strutture organizzative canoniche hanno da sempre lo scopo di servire la missione e la carità della Chiesa. Sia fra Marciano che fra Carlo, nelle loro relazioni al Convegno, hanno espresso parole in sinergia con questa sensibilità. Il primo ha fornito un dato prezioso: negli ultimi cinque anni in Italia si sono chiusi n. 273 Gruppi di preghiera, mentre all'estero se ne sono aperti n. 138 nuovi. Fra Carlo ha sottolineato la mutata proporzione tra la pecora smarrita e le novantanove nell'ovile. In questi tempi di secolarizzazione "non possiamo essere pettinatori dell'unica pecora rimasta, ma pastori delle altre uscite dall'ovile", pastori ansiosi di riportare al Signore i suoi figli e figlie.
E' stato veloce il nostro arcivescovo a definire la relazione di fra Carlo, impostata su questa icona missionaria, "un vero discorso programmatico". Del resto il nuovo segretario viene anche lui "dalla fine del mondo", dall'Uruguay frontaliero alla Buenos Aires del Cardinal Bergoglio. A fine novembre 2012, essendo in Argentina per un convegno, con Giulio Siena ci recammo a visitare il Cardinale. Non c'era. Anche lui era nel Boca, un quartiere popolare, a ... cercare le pecore smarrite. Gli lasciammo la medaglia di Padre Pio. Chissà se l'ha portata in Conclave.
3. I LINGUAGGI DELLA NUOVA EVANGELIZZAZIONE
E' vero che Francesco d'Assisi è "il più italiano dei santi, il più santo degli italiani" (Pio XII)? E che Padre Pio è "un santo dell'Italia meridionale"? Come dicono superficialmente alcuni? Anche qui si ripropone - usiamo un linguaggio contemporaneo! - la dialettica "glocale", cioè globale - locale. Si può dire che il Cristo Signore è un fenomeno ebreo? Nella loro cecità i farisei suoi contemporanei lo paragonarono a Giuda il Galileo e Tèuda (cf. At 5,36-37), due "eretici" israeliti, ma Gesù è Kyrios, il "figlio del carpentiere di Nàzaret" è il Figlio del Dio vivente. Analogamente San Francesco e Padre Pio, nella loro incorporazione al Cristo che si è manifestata dal foro più intimo del cuore sino alla carne ferita dalla croce, rappresentano un segno di salvezza universale. Possono dire con l'apostolo: "Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" (Gal, 2,20).
Se per Francesco otto secoli costituiscono un tempo denso, che ha fatto sedimentare e arricchire la teologia sul mistero della santità in lui rappresentato, la "giovinezza" di Padre Pio di fronte alla storia c'induce ad avere pazienza e fare passi ulteriori. Tutti sanno che Francesco è ben più che il figlio del mercante assisano: è il santo della Croce e della gioia del Vangelo, il fratello universale, il segno vivente d'un Dio che ama ogni creatura e tutti vuole salvi. Così Padre Pio è certamente un figlio del Sannio povero e fervente nella fede, ma è ancora il sacerdote in cui l'azione sacramentale dell'eucaristia in persona Christi si è fatta epifania tangibile nel suo corpo. Con sfumature diverse, ma in sostanziale somiglianza, il mistero della loro santità s'impasta di croce, gloria e amore. Entrambi corrono con le labbra e l'anima al costato ferito, a quel cuore trafitto di Gesù da cui sgorgano sangue ed acqua, entrambi hanno tratto la loro gioia dal riconoscere nel sofferente il Cristo che attende di essere soccorso: sia esso il lebbroso o l'ammalato che sale alla Casa Sollievo. Se la gloria di Dio - come dice Ireneo di Lione - è l'uomo vivente, per entrambi la gloria è rappresentata dalla guarigione di ogni fratello e sorella: spirituale e fisica.
L'amore al Dio crocifisso, che ora regna glorioso dalla croce nei secoli, e ai crocifissi piagati della storia quotidiana dell'umanità, si propone come linguaggio di salvezza universalmente comprensibile. Per San Francesco il ciclo di Giotto, l'arte di Cimabue e Simone Martini, del maestro delle Vele e degli altri maestri della Basilica di Assisi hanno rappresentato la condensazione estetica, che ha intriso la predicazione dei frati e un incremento sociale della carità (ospedali, lebbrosari, monti di pietà, dovuti in gran parte al Terz'Ordine), di un rinnovamento nel Vangelo dell'intera società del tempo. Il ciclo dei mosaici di Rupnik e la stessa collocazione di Padre Pio nella "ferita del costato" del Cristo - pietra angolare dell'intera basilica, la cappella dell'eucaristia rappresentano il nuovo commento estetico alla carità accesa che continua ad essere esercitata nel vicino ospedale e il paradigma di un linguaggio simbolico da recuperare per annunciare il Cristo all'uomo d'oggi.
Papa Francesco sta incarnando in maniera entusiasmante quanto il grande Paolo VI diceva in una enciclica del 1975 di un'attualità sconcertante, Evangelii Nuntiandi: "Evangelizzatrice, la Chiesa comincia con l'evangelizzare se stessa" (n. 15). Il Papa ha cominciato da sé, dal Palazzo apostolico, dalla Curia, dalla Chiesa. I figli spirituali di Padre Pio, come i suoi frati, sono chiamati a rinnovarsi nella spiritualità del fondatore e a vivere la sua carità verso il prossimo. I Gruppi di preghiera del mondo intero si recano regolarmente a San Giovanni Rotondo per visitare le spoglie di Padre Pio e la sua Opera, la Casa Sollievo. San Giovanni è chiamata, contemporaneamente, a inviare missionari "fino agli estremi confini" per un rinnovamento profondo che trasfonda la fede di tutti i figli spirituali in una testimonianza di Nuova Evangelizzazione. Così sia.
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