RACCONTO LA STORIA

FRATE VENTO L'AMICO 1/2017

L’ABITUDINE AL BRUTTO

Sono entrato nel quarto anno di domicilio in Roma. La nostra Curia generale si trova in via Piemonte, a due passi due da via Veneto e dall’ambasciata degli U.S.A.: il vecchio teatro de La dolce vita felliniana, oggi decadente. In Puglia spesso mi dicono: “Beato te!”. Rispondo secco: “Perché?”. “Come? Sei a Roma”. Roma è una città per turisti, non per viverci. Per quanto l’organizzazione del turismo sia superficiale, come tutto qui, e i servizi offerti, iniziando dai trasporti urbani, lontani anni luce dalle vere capitali d’Europa: Parigi, Londra, Berlino.

Non ero maldisposto venendo sotto il Campidoglio, anzi. Ma il primo giudizio negativo viene dalla mia faringe. Il professore otorino del Campus bio – medico di Trigoria mi ha chiesto dove son vissuto sino ad oggi. Ho elencato località pugliesi e digressioni africane e canadesi. Il luminare ha sorriso: “Padre, tu sei un ragazzo di campagna. Sei abituato all’aria buona. A Roma … è finita da decenni”.

Per abbassare il tasso di polveri sottili nell’aria occorrerebbe una rivoluzione: magari sei linee di metropolitana (Parigi ne ha dodici più la ferrovia sotterranea R. E. R.), magari più controlli sulle auto obsolete che scaricano fumacci nerissimi. Ma a Roma tutto è lento, iniziando dalla burocrazia comunale. E non si farà niente. Il 70 per cento dei romani, mi spiega il professore, ha il riflusso gastro – esofageo, che provoca anche infiammazioni delle vie aeree superiori, perché “andare al lavoro a Roma è già un lavoro”, usurante, a causa della pessima rete di trasporti. E ci si abitua a tollerare questo come un male inevitabile. Ho un appuntamento per lavoro con un magistrato. L’avvocato mi ha detto alle 11.00. Cinque minuti prima sono davanti al Palazzo di Giustizia. Aspetto l’avvocato per mezz’ora. Arriva sereno. Io sono in ansia da sindrome svizzera per la puntualità. E mi sorride: “Capisco. Lei è nuovo di Roma. Qui gli appuntamenti si danno sempre con una mezz’ora di variazione: 11.00 – 11.30. Sa … il traffico”. E io penso ai giapponesi e agli impegni alle 12.03 o alle 17.04.

“Roma è la città più bella del mondo”, dice il tassista giustamente campanilista e molti altri. Ma se abbassi lo sguardo dal Cupolone o dal Colosseo a terra non trovi dieci metri di marciapiede sano: in nessun posto, compresi i già eleganti Parioli e la stessa via Veneto. Buchi, pietre divelte, radici prominenti, crateri. Il lamento cala. I romani non amano queste osservazioni critiche. Roma è bella! Anche se bisogna scorporare, con un photoshop mentale, i cassonetti tracimanti e gli altri frequenti mucchi di rifiuti fuori di essi.

Una matura signora con un visone da mutuo decennale per i mortali, attraversa parlando al cellulare col rosso: lenta, olimpica. Una fila di auto suona. La fine signora si gira appena con la sinistra libera che si esprime in un gesto calmo e inequivoco: “Ma va’ …”. Regole e norme non sono molto rispettate nella città di Mucio Scevola e Cicerone, dove il Diritto nacque. Ma ci si abitua.

Un guanto di pelle caduto a qualcuno su via Piemonte è li da settimane, vicino al marciapiede, protetto dal vento. Sempre più sporco di olio e pneumatici. Resta lì. Ma i netturbini? Boh! Non passano mai. Siamo abituati. Così la carcassa di una bici senza ruote e manubrio, ma con salda catena legata a un segnale stradale, resta per due mesi ad arrugginire, dove Fellini passava per andare a mangiare Da Cesarina, ristorante romagnolo.

All’angolo dell’ambasciata americana le luci pubbliche sono rotte da settembre. Siamo a febbraio. Nessuna riparazione. Gli agenti U.S.A. hanno occhiali infrarossi, i cittadini no. È notte dalle 17.00. Si va così.

La Pubblica amministrazione chiede le imposte, che servono per i servizi pubblici. Ma perché pagare le imposte al Comune di Roma? I politici dicono spesso: “Non ci sono fondi a sufficienza”, anche i 5 stelle che ora regnano a Roma. Ma Mattia Feltri su La Stampa del 18 febbraio scorso rivela che: “Nei tre anni compresi fra il 2013 e il 2015, gli autobus romani hanno bucato 6 mila e 36 gomme, ma ne hanno sostituite d’urgenza 15 mila e 371. Con conseguente aumento del costo, otto milioni in più. E dove sono finite le novemila gomme acquistate di troppo? Mah”.  E continua per la nostra sete di verità e giustizia: “Inutile cercare spiegazioni non metafisiche in una città, e in un’azienda [l’ATAC] che era già riuscita a moltiplicare per quattro il prezzo dei dischi freno per i treni della metropolitana: 6 mila e 700 euro l’uno invece di mille e 700, cifra di listino”.

Non bisogna essere dei sanculotti o dei bolscevichi per sentire il puzzo di corruzione in questa città. Avevamo perso una brutta guerra e subito una guerra civile nel ’45; di cose brutte ce n’erano tante, cominciando dai morti da seppellire e dalle macerie da sgombrare, ma l’Italia divenne bellissima e fiorente di rondini e bambini, di alberi e giardini, ed entrò nel G7, in vent’anni nemmeno.

Oggi le macerie più oscene sono quelle morali. Roma è la Capitale d’Italia. L’abitudine al brutto qui è fortissima, ma è presente in gran parte del paese. Meglio: in tutto il paese salvo eccezioni! L’indignazione sarebbe il moto d’animo necessario. Indignarsi per una rivoluzione civile e pacifica. Per tornare a una democrazia vera. Ma la democrazia è una donna di carattere, esige impegno. Meglio accendere la TV. E … inutile lamentarsi. Tanto non serve. Siamo abituati.

 

© Antonio Belpiede - all rights reserved

 


(Fonte: L'AMICO DEL TERZIARIO)

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