frate Antonio
“In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini”
(Giovanni, 1,4)
Nel Verbo eterno del Padre, che riconosciamo nel Signore Gesù, era la vita. Lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque quando il Padre pronunciò il Verbo: «Dio disse: “Sia la luce!”. E la luce fu» (cfr Genesi 1,1-5).
Prima che il primogenito nasca, lo sposo e la sposa felici si nutrono d’amore e d’amore circondano, oltre il velo tenue della pelle tesa del ventre materno, il piccino. Prima ch’egli nasca hanno quasi sempre già deciso il suo nome. Il Padre e il Figlio, nel fuoco d’amore dello Spirito, hanno pronunciato il nome del mondo prima che questi fosse, come un “bisbiglio d’amore trinitario”. Poi “Dio disse …”. E la prima creatura a nascere dal suo amore creativo fu la luce.
Luce e vita: un binomio noto ai contadini da sempre, ai pescatori, a chi graffia e percorre la terra e i sette mari, noto agli astronomi e ai mistici. Non si vive di tenebra. L’oscurità esiste forse anzitutto per far sentire la nostalgia della luce e per far riposare il corpo degli uomini, che la luce chiama ad agire.
Il nome del mondo … è fatto di una serie sterminata di nomi, dai protozoi ai vegetali, dagli animali più elementari all’uomo. L’uomo poi ha a sua volta un numero immenso di nomi, ricchi di suoni e culture, di ortografia e poesia, di etimologie e memorie le più varie possibili. In moltissime culture risuonano nei millenni i nomi dei bambini sulle labbra della mamma, il nome dell’amico e della fidanzata, il nome del padre e del fratello. Eppure prima che il mondo fosse “in lui era la vita”. Creato l’uomo, Dio gli chiede di dare i nomi a tutti gli esseri viventi: “Dio plasmò dal suolo ogni sorta di animali selvatici e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come gli avrebbe chiamati” (Genesi, 2,19). L’uomo è chiamato fin dall’inizio a cooperare col Creatore. Eppure tutta questa vita era già nota al “cuore” della Trinità prima che il mondo fosse: “In lui era la vita”. Fin dal principio Dio conosceva il nome di ogni creatura, di ogni bambino, di ciascuno di noi.
Il disordine si è mescolato con l’ordine della creazione. Il disordine della menzogna del serpente, il disordine della disobbedienza dell’uomo e della donna, il disordine del dolore e del peccato, delle doglie del parto e di Babele: il linguaggio si è intrecciato in un groviglio oscuro, i nomi delle creature si sono confusi. Abele era fratello, ma Caino lo uccide. Si può distruggere il nome del bambino che la madre chiama con amore. Si può fare del male anche ai bambini in questo mondo disordinato e confuso. I diluvi non bastano a calmare l’ansia di dominio che abita facilmente il cuore dell’uomo. Dopo l’arca Dio promise a se stesso … di non farlo più: non serve. Finita la pena si torna a sguazzare nell’errore. La tenebra ricopre Babele e i suoi misfatti di morte.
Ma “nella pienezza del tempo Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli” (Gal 4, 4-5).
Una stella di luce nuova percorre i cieli d’Asia e si ferma sulla città di Davide. La luce avvolge i pastori, luce di vita e di grande gioia: “Oggi nella città di Davide vi è nato un salvatore” (Lc 2,11). Quel Bambino che dorme tra le braccia della Vergine – Madre dirà da adulto: “Io sono la luce del mondo. Io sono venuto perché abbiate la vita, e l’abbiate in abbondanza” (cfr Gv 8,12. 10,10).
Venuto una volta nell’umiltà del presepe, Gesù viene continuamente nel tempo in segni molteplici: viene nella sua Parola annunciata fino agli estremi confini della terra, nell’eucaristia e negli altri sacramenti, nel popolo suo che è la Chiesa e nell’umanità tutta, nel mistero della storia e della dignità umana. La dichiarazione del Concilio Vaticano II che parla della libertà religiosa di ogni uomo s’intitola esattamente così: Dignitatis humanae. Gli scienziati che studiano l’evoluzione sono concordi nell’indicare il fondamentale passaggio degli ominidi alla stazione eretta dell’homo sapiens. E dove guarda l’uomo che sta in piedi? Guarda davanti a sé e guarda l’orizzonte; alza la testa accanto al fuoco di notte e guarda il cielo. Ogni quadrupede guarda il terreno, l’uomo guarda le stelle. “Et indi uscimmo a riveder le stelle” dice Dante, che chiude con la parola “stelle” tutte e tre le cantiche della Commedia. E così Leopardi con le “tante facelle” sparse nel cielo del pastore errante nell’Asia. Ma prima ancora, nell’Iliade, Omero aveva scritto dei Troiani in attesa notturna: “… e molti fuochi erano accesi. Come quando le stelle del cielo, attorno alla luna che splende, appaiono visibilissime … e uno spazio indicibile si apre sotto la volta del cielo”.
I magi che seguono la stella sono i campioni dell’umanità più semplice e profonda, quella che guarda il cielo, quella che cerca Dio. Non si vuol certo obbligare chiunque a credere, ma obbligare noi stessi, che l’abbiamo trovato in Gesù, a cantarlo al mondo intero. Così fece Francesco. Nella lettera a tutti i fedeli dice: “Poiché sono l’ultimo e il servo di tutti, sono obbligato a spezzare a tutti le fragranti parole del mio Signore”. E la parola in lui si fa eucaristia, parola “fragrante” come il pane, spezzata e condivisa. Ma la parola nel suo cuore di poeta si fa anche scena sacra, come a Greccio. Quel bambino di carne che Francesco innalza tra le braccia è ancora segno di Gesù che viene, del Dio della vita che viene nell’amore della famiglia, in un bambino che nasce in mezzo a noi.
Anziché sparare al tiro a segno sul Sommo Pontefice, certi uomini di Chiesa troverebbero la loro pace imitando il Poverello, donandosi come servi all’umanità confusa che ancora spera ricevere parole di vita. Viene Gesù, viene il Dio della vita. Auguri a tutti gli scrutatori del cielo, a tutti gli amanti delle stelle, a tutti i cristiani. Buon Natale!
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(Fonte: L'AMICO DEL TERZIARIO) |